martedì 31 marzo 2009

Dahrendorf e la nuova austerity "cool"

Dahrendorf la butta lì, in un'intervista al Corriere di oggi. Più che sulle magre aspettative sul G-20, le risposte interessanti sono su come la presente crisi potrà incidere e modificare il nostro stile di vita (in corsivo, mio).

PS Non so se sia un caso, ma dall'anno scorso in Inghilterra, a quest'anno anche da noi è tutto un fiorire qui e là di articoli contro la carne rossa, a favore delle verdure coltivate in casa, dell'uncinetto..un tentativo di far passare per "cool" qualcosa che dovremo fare per necessità?



Il sociologo Ralf Dahrendorf: «Ridurremo i nostri standard
di vita del 20%, torneremo agli anni Cinquanta e Sessanta»


di Danilo Taino, da corriere.it (31 marzo 2009)

(...)
Cosa intende per fallimento del vertice?
«Non ci sarà accordo su un pacchetto di stimolo "globale". Ci saranno dichiarazioni generiche sulle nuove regole da scrivere. Forse verrà un po' rafforzato il Fondo monetario internazionale. E si identificheranno alcuni capri espiatori, in particolare i paradisi fiscali. Niente di davvero importante, tanto che tutti sono impegnati ad abbassare le aspettative, il padrone di casa Brown in testa, dopo che le avevano alzate moltissimo».

Quali sono le conseguenze della crisi, nel lungo periodo?
«Alla fine tutti avremo ridotto gli standard di vita di almeno un 20%. Torneremo circa ai livelli precedenti a quelli di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Per alcuni aspetti, a un modo di vivere che somiglierà un po' agli anni Cinquanta e Sessanta, con molta più tecnologia ma senza l'ottimismo di quei decenni».

Anche quando inizierà la ripresa?
«La ripresa sarà lunga e lenta. E non basterà a servire gli interessi sul debito che nel frattempo gli Stati stanno accumulando. Ragione per cui sarà un periodo di tasse alte e alta inflazione. Niente di bello. Alcuni economisti parlano di "inflazione controllata", sostengono cioè che qualche anno di inflazione tra il 6 e il 10% basterà a ridimensionare i debiti pubblici. Il problema è che un'inflazione del genere sarà pagata soprattutto dai poveri e dai pensionati».

Visione nera.
«Se vogliamo metterle un po' di belletto, possiamo forse prevedere che la crisi porterà un cambio di attitudine, con più attenzione all'economia reale e un distacco dalla cultura del debito e dal capitalismo del debito. Il ricorso alle carte di credito sarà mitigato, sarà forse un clima più piacevole».

Cultura del debito?
«Sì, la cultura diffusa, ma molto diffusa, per la quale mettevi lì cinquanta euro e ti pareva normale che ti dessero un'automobile o una casa. Può non piacere a molti, che preferiscono dare ogni responsabilità ai banchieri e ai paradisi fiscali, ma credo che questa sia la ragione principale della crisi».

Prima responsabile non è dunque la deregulation degli anni di Reagan e Thatcher?
«Ci sono alcuni aspetti di quella deregulation che entrano tra le ragioni della crisi. Ma non andrei troppo avanti su questa strada. Perché alla base della crisi c'è soprattutto la cultura del debito e la bolla conseguente. Un mio conoscente mi raccontava l'altro giorno che ha uno chalet da vendere a Chamonix e che, all'improvviso, si è accorto che a nessuno al mondo serve uno chalet a Chamonix. Non più, perché il mondo sta riducendo di quel 20% le sue esigenze. Ma questo non c'entra niente con la signora Thatcher, la quale, di base vittoriana, aveva anzi orrore del debito».

Pericoli di violenza a causa della crisi?
«Non vedo un ritorno del terrorismo domestico. Ma c'è una grande rabbia diffusa, la voglia di trovare colpevoli. Per ora non ha sbocchi politici, è individuale, come abbiamo visto negli attacchi alle case di banchieri, o si incanala in manifestazioni di massa tradizionali come quelle delle tifoserie del calcio».

La democrazia potrebbe correre dei rischi?
«La democrazia direttamente no, anche se ci saranno spostamenti politici. Diverso è il discorso per la società aperta, perché la crisi non favorisce le libertà. Le scelte dei governi di nazionalizzare banche e forse anche certe industrie riducono le libertà. Non saranno tempi belli».
(...)

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