lunedì 24 agosto 2009

Perché Zapatero è così attratto dai diritti dello scimpanzé

Il mito dei preadamitici spiega che la maggiore tragedia dell’uomo è che continuerà sempre a essere soltanto uomo

da ilFoglio.it

Il fatto che il governo spagnolo abbia recentemente stabilito che anche gli scimpanzé devono godere di alcuni diritti umani apre una questione talmente complicata che forse si potrebbe iniziare a illustrare partendo da un episodio, purtroppo solo romanzesco, che si trova in un libro funambolico di Raymond Queneau, “I fiori blu”. Uno dei protagonisti è il Duca D’Auge, terribile signorotto medievale, con un’idea fissa: rompere le scatole ai preti andando a dipingere e inventando, per la prima volta nella storia dell’umanità, dei disegni rupestri per provare una volta per tutte, in barba alla Genesi, l’esistenza degli uomini preadamiti. “I Preadamiti – dice il Duca D’Auge all’abate Riphinte – avevano la purezza dei bambini, e naturalmente disegnavano come bambini. (…) Le persone che hanno fatto questi disegni, queste pitture, queste persone hanno vissuto prima del peccato originale, erano come quei fanciulli di cui Gesù parla nel Vangelo. Sono i Preadamiti, allora, gli autori di questi disegni, prova della loro esistenza. Vivevano in queste caverne per trovar riparo dagli sconvolgimenti che agitavano la terra, allor sì giovane”. Un genio del male. Il Duca D’Auge riscrive la storia per un suo capriccio polemico, per togliersi uno sfizio. Bene.

Ma tutto questo cosa c’entra con la decisione di Zapatero? Se si legge un articolo di William Saletan uscito su Slate.com il 15 luglio e intitolato “The Paradox of Discrimination” la questione, come si diceva, inizia a chiarirsi. Il fatto che gli scimpanzé vengano assimilati agli esseri umani riposa sulla convinzione che animali e esseri umani siano privi di quella che tradizionalmente veniva chiamata anima. Una forma di uguaglianza al ribasso. Scrive Saletan: “Sappiamo che c’è qualcosa di meraviglioso e di unico nel potere, nella ricchezza e nella sottigliezza della mente umana. Ma per noi, l’anima non spiega queste meraviglie. Le descrive semplicemente. Questo è il motivo per cui la distruzione degli embrioni umani non ci tormenta allo stesso modo in cui tormenta i movimenti pro life. Non crediamo nell’arrivo dell’anima al momento del concepimento. Crediamo invece nel progressivo sviluppo delle capacità mentali. Ma questo ci mette in una posizione difficile. Ci definiamo egalitari, tuttavia neghiamo l’uguaglianza degli esseri umani concepiti. Crediamo che una donna meriti più rispetto di un feto. Che un feto di ventisei settimane meriti più rispetto di un feto di dodici. Che un feto di dodici debba essere più considerato di uno zigote. Discriminiamo secondo le capacità. Questo è il motivo per cui i diritti degli scimpanzé ci attraggono. Non è un’affermazione di uguaglianza tra tutti gli animali. Ma il fatto che gli scimpanzé ci assomigliano molto di più che gli insetti”. Ci siamo.

Il Duca D’Auge aveva inventato l’esistenza dei preadamiti per dispetto, per il gusto di togliere all’uomo un privilegio che il mito della Genesi, nel bene e nel male, gli assegnava. La sua idea, facendo finta che non sia romanzesca, ha prodotto però l’esatto contrario di quello che si prefigurava ed è ciò che Saletan ha descritto nel suo articolo: la proclamata uguaglianza tra uomini e animali genera paradossi che affermano l’esatto contrario delle premesse: ci sono uomini più uguali di altri uomini e ci sono animali più uguali di altri animali rispetto all’uomo. Non è insomma un caso, tanto per chiudere il cerchio ancora con il Duca D’Auge, che alla voce “Adamo” della sua “Nuova Enciclopedia”, Alberto Savinio abbia scritto: “Le rivoluzioni della scienza si svolgono senza recar disturbo ai miti, (…) se la rivoluzione darwiniana non vieta alla massima parte degli uomini di considerare l’uomo come centro dell’universo. Come potrebbe essere altrimenti? Le scoperte che l’uomo fa, le sempre nuove cognizioni che egli acquista non fanno anche sì che l’uomo cessi di essere uomo. E allora? La maggiore tragedia dell’uomo è questa, che qualunque cosa egli riesca a pensare, continuerà sempre a essere uomo e soltanto uomo”.

La scimmia col gilet è una caricatura. E sfocia nell’eugenetica

Sono stato per alcuni anni animalista, per semplici ragioni di pietà. Trovavo e trovo orribile che alcune povere bestie siano sottoposte a esperimenti strazianti, che hanno una discutibile utilità medica e servono soprattutto a produrre pubblicazioni per la carriera degli sperimentatori. Ciò mi pareva particolarmente infame nei confronti delle nostre sorelle scimmie, benché non abbia mai assistito ad alcun esperimento che le coinvolgesse. Ma gli ululati dei cani provenienti dallo stabulario dell’Istituto di Sanità mi sono rimasti nell’anima dopo cinquant’anni.

Mi sono allontanato dall’animalismo quando ho cominciato a sentir parlare dei “diritti” degli animali, di una sorta di omologazione giuridica di uomini e bestie, da cui l’uomo emergeva come un animale con qualche diritto in più, conquistato con la prepotenza. Ho sentito parlare e ho letto di qualcosa come un diritto di voto esteso agli scimpanzé, e, dal lato opposto, ai robot. La pietà, e sino l’amore, nei confronti degli animali, è sentimento rispettabile ed è una via per avvicinarci alla fratellanza universale e a Dio, come ci ha insegnato san Francesco. Un cane può essere modello di affetto e di fedeltà. Dare a questi sentimenti una sanzione burocratica e legislativa offende il nostro diritto e ridicolizza la scimmia. La scimmia col cilindro e col gilet è stata per qualche tempo la caricatura del darwinismo.

Un mese fa la commissione ambientale delle Cortes spagnole ha preso in carica un progetto di liberazione animalista, intitolato alle grandi scimmie (Great Ape Project). Il particolare riguardo riservato agli scimmioni ha certamente origine dalla nozione darwiniana che da essi deriviamo attraverso il processo evolutivo, che di essi siamo eredi e non di un mitico Adamo. Benché quella nozione sia stata smentita definitivamente, se non altro perché l’uomo è comparso sulla terra milioni di anni prima degli scimmioni, essa è rimasta nel nostro subconscio e nella nostra subcultura. Quello che preoccupa nell’accesso delle scimmie al nostro diritto è l’invasione della legalità zoologica nella nostra filosofia e nel nostro diritto. Scrisse Darwin nei suoi appunti: “Origine dell’uomo ora dimostrata. La metafisica deve fiorire. Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto abbia fatto Locke.” E la metafisica del babbuino ci insegna che (è sempre Darwin) “l’origine della nostra specie è la causa delle nostre passioni malvagie. Il diavolo sotto forma di babbuino è nostro nonno”.

Il rischio che l’adozione del Great Ape Projet fa intravedere non è tanto quello di vedere una scimmia seduta in Parlamento. E’ quello di vedere insinuarsi nelle nostre leggi la metafisica del babbuino. Quella metafisica, promossa dal cugino di Darwin, Francis Galton, conosce una sola forma di elevazione e miglioramento, l’eugenetica, cioè l’eliminazione dei difetti e dei difettosi. “La nostra razza dovrà liberarsi del marchio ereditario dovuto alla sua primitiva barbarie, – scrisse Galton – prima che i nostri discendenti possano raggiungere la posizione di membri liberi di una società intelligente”.
La giurisdizione zoologica, quanto meno quella delle Grandi Scimmie, tenderà ad affacciarsi nel Corpus Juris Civilis di Giustiniano, via via dissolvendo i concetti di colpa e di responsabilità, e sostituendoli con quelli di difetto genetico e di residuo animalesco.
Delitto e castigo diverranno pregiudizi superati dalla lombrosiana genetica della criminalità, e la Giustizia sarà sostituita da qualcosa come una Classificazione naturalistica delle tendenze congenite, che avrà stabilito il nostro debito prima dell’esperienza della vita.

di Giuseppe Sermonti