Il mito dei preadamitici spiega che la maggiore tragedia dell’uomo è che continuerà sempre a essere soltanto uomo
da ilFoglio.it
Il fatto che il governo spagnolo abbia recentemente stabilito che anche gli scimpanzé devono godere di alcuni diritti umani apre una questione talmente complicata che forse si potrebbe iniziare a illustrare partendo da un episodio, purtroppo solo romanzesco, che si trova in un libro funambolico di Raymond Queneau, “I fiori blu”. Uno dei protagonisti è il Duca D’Auge, terribile signorotto medievale, con un’idea fissa: rompere le scatole ai preti andando a dipingere e inventando, per la prima volta nella storia dell’umanità, dei disegni rupestri per provare una volta per tutte, in barba alla Genesi, l’esistenza degli uomini preadamiti. “I Preadamiti – dice il Duca D’Auge all’abate Riphinte – avevano la purezza dei bambini, e naturalmente disegnavano come bambini. (…) Le persone che hanno fatto questi disegni, queste pitture, queste persone hanno vissuto prima del peccato originale, erano come quei fanciulli di cui Gesù parla nel Vangelo. Sono i Preadamiti, allora, gli autori di questi disegni, prova della loro esistenza. Vivevano in queste caverne per trovar riparo dagli sconvolgimenti che agitavano la terra, allor sì giovane”. Un genio del male. Il Duca D’Auge riscrive la storia per un suo capriccio polemico, per togliersi uno sfizio. Bene.
Ma tutto questo cosa c’entra con la decisione di Zapatero? Se si legge un articolo di William Saletan uscito su Slate.com il 15 luglio e intitolato “The Paradox of Discrimination” la questione, come si diceva, inizia a chiarirsi. Il fatto che gli scimpanzé vengano assimilati agli esseri umani riposa sulla convinzione che animali e esseri umani siano privi di quella che tradizionalmente veniva chiamata anima. Una forma di uguaglianza al ribasso. Scrive Saletan: “Sappiamo che c’è qualcosa di meraviglioso e di unico nel potere, nella ricchezza e nella sottigliezza della mente umana. Ma per noi, l’anima non spiega queste meraviglie. Le descrive semplicemente. Questo è il motivo per cui la distruzione degli embrioni umani non ci tormenta allo stesso modo in cui tormenta i movimenti pro life. Non crediamo nell’arrivo dell’anima al momento del concepimento. Crediamo invece nel progressivo sviluppo delle capacità mentali. Ma questo ci mette in una posizione difficile. Ci definiamo egalitari, tuttavia neghiamo l’uguaglianza degli esseri umani concepiti. Crediamo che una donna meriti più rispetto di un feto. Che un feto di ventisei settimane meriti più rispetto di un feto di dodici. Che un feto di dodici debba essere più considerato di uno zigote. Discriminiamo secondo le capacità. Questo è il motivo per cui i diritti degli scimpanzé ci attraggono. Non è un’affermazione di uguaglianza tra tutti gli animali. Ma il fatto che gli scimpanzé ci assomigliano molto di più che gli insetti”. Ci siamo.
Il Duca D’Auge aveva inventato l’esistenza dei preadamiti per dispetto, per il gusto di togliere all’uomo un privilegio che il mito della Genesi, nel bene e nel male, gli assegnava. La sua idea, facendo finta che non sia romanzesca, ha prodotto però l’esatto contrario di quello che si prefigurava ed è ciò che Saletan ha descritto nel suo articolo: la proclamata uguaglianza tra uomini e animali genera paradossi che affermano l’esatto contrario delle premesse: ci sono uomini più uguali di altri uomini e ci sono animali più uguali di altri animali rispetto all’uomo. Non è insomma un caso, tanto per chiudere il cerchio ancora con il Duca D’Auge, che alla voce “Adamo” della sua “Nuova Enciclopedia”, Alberto Savinio abbia scritto: “Le rivoluzioni della scienza si svolgono senza recar disturbo ai miti, (…) se la rivoluzione darwiniana non vieta alla massima parte degli uomini di considerare l’uomo come centro dell’universo. Come potrebbe essere altrimenti? Le scoperte che l’uomo fa, le sempre nuove cognizioni che egli acquista non fanno anche sì che l’uomo cessi di essere uomo. E allora? La maggiore tragedia dell’uomo è questa, che qualunque cosa egli riesca a pensare, continuerà sempre a essere uomo e soltanto uomo”.
La scimmia col gilet è una caricatura. E sfocia nell’eugenetica
Sono stato per alcuni anni animalista, per semplici ragioni di pietà. Trovavo e trovo orribile che alcune povere bestie siano sottoposte a esperimenti strazianti, che hanno una discutibile utilità medica e servono soprattutto a produrre pubblicazioni per la carriera degli sperimentatori. Ciò mi pareva particolarmente infame nei confronti delle nostre sorelle scimmie, benché non abbia mai assistito ad alcun esperimento che le coinvolgesse. Ma gli ululati dei cani provenienti dallo stabulario dell’Istituto di Sanità mi sono rimasti nell’anima dopo cinquant’anni.
Mi sono allontanato dall’animalismo quando ho cominciato a sentir parlare dei “diritti” degli animali, di una sorta di omologazione giuridica di uomini e bestie, da cui l’uomo emergeva come un animale con qualche diritto in più, conquistato con la prepotenza. Ho sentito parlare e ho letto di qualcosa come un diritto di voto esteso agli scimpanzé, e, dal lato opposto, ai robot. La pietà, e sino l’amore, nei confronti degli animali, è sentimento rispettabile ed è una via per avvicinarci alla fratellanza universale e a Dio, come ci ha insegnato san Francesco. Un cane può essere modello di affetto e di fedeltà. Dare a questi sentimenti una sanzione burocratica e legislativa offende il nostro diritto e ridicolizza la scimmia. La scimmia col cilindro e col gilet è stata per qualche tempo la caricatura del darwinismo.
Un mese fa la commissione ambientale delle Cortes spagnole ha preso in carica un progetto di liberazione animalista, intitolato alle grandi scimmie (Great Ape Project). Il particolare riguardo riservato agli scimmioni ha certamente origine dalla nozione darwiniana che da essi deriviamo attraverso il processo evolutivo, che di essi siamo eredi e non di un mitico Adamo. Benché quella nozione sia stata smentita definitivamente, se non altro perché l’uomo è comparso sulla terra milioni di anni prima degli scimmioni, essa è rimasta nel nostro subconscio e nella nostra subcultura. Quello che preoccupa nell’accesso delle scimmie al nostro diritto è l’invasione della legalità zoologica nella nostra filosofia e nel nostro diritto. Scrisse Darwin nei suoi appunti: “Origine dell’uomo ora dimostrata. La metafisica deve fiorire. Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto abbia fatto Locke.” E la metafisica del babbuino ci insegna che (è sempre Darwin) “l’origine della nostra specie è la causa delle nostre passioni malvagie. Il diavolo sotto forma di babbuino è nostro nonno”.
Il rischio che l’adozione del Great Ape Projet fa intravedere non è tanto quello di vedere una scimmia seduta in Parlamento. E’ quello di vedere insinuarsi nelle nostre leggi la metafisica del babbuino. Quella metafisica, promossa dal cugino di Darwin, Francis Galton, conosce una sola forma di elevazione e miglioramento, l’eugenetica, cioè l’eliminazione dei difetti e dei difettosi. “La nostra razza dovrà liberarsi del marchio ereditario dovuto alla sua primitiva barbarie, – scrisse Galton – prima che i nostri discendenti possano raggiungere la posizione di membri liberi di una società intelligente”.
La giurisdizione zoologica, quanto meno quella delle Grandi Scimmie, tenderà ad affacciarsi nel Corpus Juris Civilis di Giustiniano, via via dissolvendo i concetti di colpa e di responsabilità, e sostituendoli con quelli di difetto genetico e di residuo animalesco.
Delitto e castigo diverranno pregiudizi superati dalla lombrosiana genetica della criminalità, e la Giustizia sarà sostituita da qualcosa come una Classificazione naturalistica delle tendenze congenite, che avrà stabilito il nostro debito prima dell’esperienza della vita.
di Giuseppe Sermonti
lunedì 24 agosto 2009
mercoledì 22 luglio 2009
New York Times: Cattolicesimo come antidoto al Turbocapitalismo
MUNICH — The collapse of Communism in the East two decades ago did not provide much of an opening for the Catholic Church to influence economic policy, but perhaps the near-collapse of Western capitalism will. Two German authors — one named Marx, the other his patron in Rome — are certainly hoping so.
The first is Reinhard Marx, archbishop of Munich and Freising, who has written a best seller in Germany that he cheekily titled “Das Kapital” (and in which he addresses that other Marx — Karl — as “dear namesake”). The second is Pope Benedict XVI, who last week published his first papal encyclical on economic and social matters. It has a more gentle title, “Charity in Truth,” but is based on the same essential line of thinking. Indeed, Archbishop Marx had a hand in advising the pope on it, and a reading of the archbishop’s book helps explain the intellectual context in which the encyclical was composed.
The message in both is that global capitalism has raced off the moral rails and that Roman Catholic teachings can help set Western economics right by encouraging them to focus more on justice for the weak and closely regulating the market.
Unlike the 19th-century Marx, who thought organized religion was a trick played on the impoverished in order to control them, Archbishop Marx and other Catholics yearn for reform, not class warfare. In that, they are following a long and fundamental line of church teaching. What is different now is that some of them see this economic crisis as a moment when the church’s economic thinking just may attract serious attention.
Archbishop Marx has already drawn a following in Germany by arguing that capitalism needs, in a grave way, the ethical underpinnings of Catholicism. The alternative, he argues, is that the post-crisis world will fall back into furious turbo-capitalism, or, alternatively, experience a renaissance of Marxist ideology based on atheism and class divisions.
“There is no way back into an old world,” Archbishop Marx said in a recent interview, before the encyclical was issued. “We have to affirm this world, but critically.”
Catholic voices have long had influence on the debate in the West about social justice, but never as much as the church would have wished. That reflected the enduring challenge of devising alternative policies, rather than simply criticizing secular authorities.
Pope John Paul II, a Pole with an intuitive feel for Communism’s injustices, was an important voice in bringing that system down. But he had to watch in the 1990s as Eastern Europe embraced Communism’s polar opposite — a rather pure form of secular capitalism, instead of any Catholic-influenced middle way.
“John Paul II was often very clear what he was against: He was against unbridled capitalism and the kind of socialism of the Soviet sphere,” said John Allen, the National Catholic Reporter Vatican watcher. “What he was for was less clear.”
Now Archbishop Marx, who at 55 occupies an ecclesiastical perch once held by Benedict, is trying to wriggle out of that intellectual straitjacket.
With his talent for turning a provocative phrase, he has more in common stylistically with the evangelist St. Paul or the philosophes, who popularized Enlightenment thought, than with Karl, who ground out his dense texts from exile in London. After beginning his book puckishly by addressing Karl Marx personally, the archbishop races through 200 years of Western economic history in a way that pays tribute to Karl’s core analytical conclusion — that capitalism embodies contradictions that threaten the system itself.
But he also makes it clear he is no Communist. He admires Wilhelm Emmanuel von Ketteler, a 19th-century writer who put Catholic theory into practice as a member of Germany’s first national Parliament in 1848, and later became a bishop and a fervent critic of Karl Marx.
The gregarious Archbishop Marx has cut a profile in the German business community for his willingness to walk into a roomful of executives and raise the roof. (“Are you marionettes?” he once asked a manager who protested that markets sometimes dictate unethical actions.)
In his book, which was published last fall, he offers a vision of a world governed by cooperation among nations, with a vibrant welfare state as the core of a market economy that reflects the love-thy-neighbor imperatives of Catholic social thought.
On the first point, Archbishop Marx is in good, cosmopolitan company; many officials, from New York to London to Beijing, are calling these days for a world in greater regulatory harmony, though the specifics may be hard to agree upon. He sounds considerably more German when exhorting the world to create, or recast, the welfare state. People need the welfare state before they “can give themselves over to the very strenuous and sometimes very risky games of the marketeconomy,” Archbishop Marx said. The burdens of aging, illness or unemployment “need to be borne collectively,” he added.
In support of his argument, the archbishop calls for a “global social market economy,” based on a concept familiar to Germans as the model for their own postwar system.
Of course, the archbishop says he realizes that a European’s ideal of welfare states and border-straddling institutions might not have universal appeal. At the end of his book, he quotes Jean-Claude Juncker, the prime minister of Luxembourg, who has said, “I approve of the notion that Europe sees itself, unpretentiously, as a model for the world, but the consequence of that is that we would have to constantly change that model because we are not the world.”
Neither, he might have added, is the Roman Catholic church.
The first is Reinhard Marx, archbishop of Munich and Freising, who has written a best seller in Germany that he cheekily titled “Das Kapital” (and in which he addresses that other Marx — Karl — as “dear namesake”). The second is Pope Benedict XVI, who last week published his first papal encyclical on economic and social matters. It has a more gentle title, “Charity in Truth,” but is based on the same essential line of thinking. Indeed, Archbishop Marx had a hand in advising the pope on it, and a reading of the archbishop’s book helps explain the intellectual context in which the encyclical was composed.
The message in both is that global capitalism has raced off the moral rails and that Roman Catholic teachings can help set Western economics right by encouraging them to focus more on justice for the weak and closely regulating the market.
Unlike the 19th-century Marx, who thought organized religion was a trick played on the impoverished in order to control them, Archbishop Marx and other Catholics yearn for reform, not class warfare. In that, they are following a long and fundamental line of church teaching. What is different now is that some of them see this economic crisis as a moment when the church’s economic thinking just may attract serious attention.
Archbishop Marx has already drawn a following in Germany by arguing that capitalism needs, in a grave way, the ethical underpinnings of Catholicism. The alternative, he argues, is that the post-crisis world will fall back into furious turbo-capitalism, or, alternatively, experience a renaissance of Marxist ideology based on atheism and class divisions.
“There is no way back into an old world,” Archbishop Marx said in a recent interview, before the encyclical was issued. “We have to affirm this world, but critically.”
Catholic voices have long had influence on the debate in the West about social justice, but never as much as the church would have wished. That reflected the enduring challenge of devising alternative policies, rather than simply criticizing secular authorities.
Pope John Paul II, a Pole with an intuitive feel for Communism’s injustices, was an important voice in bringing that system down. But he had to watch in the 1990s as Eastern Europe embraced Communism’s polar opposite — a rather pure form of secular capitalism, instead of any Catholic-influenced middle way.
“John Paul II was often very clear what he was against: He was against unbridled capitalism and the kind of socialism of the Soviet sphere,” said John Allen, the National Catholic Reporter Vatican watcher. “What he was for was less clear.”
Now Archbishop Marx, who at 55 occupies an ecclesiastical perch once held by Benedict, is trying to wriggle out of that intellectual straitjacket.
With his talent for turning a provocative phrase, he has more in common stylistically with the evangelist St. Paul or the philosophes, who popularized Enlightenment thought, than with Karl, who ground out his dense texts from exile in London. After beginning his book puckishly by addressing Karl Marx personally, the archbishop races through 200 years of Western economic history in a way that pays tribute to Karl’s core analytical conclusion — that capitalism embodies contradictions that threaten the system itself.
But he also makes it clear he is no Communist. He admires Wilhelm Emmanuel von Ketteler, a 19th-century writer who put Catholic theory into practice as a member of Germany’s first national Parliament in 1848, and later became a bishop and a fervent critic of Karl Marx.
The gregarious Archbishop Marx has cut a profile in the German business community for his willingness to walk into a roomful of executives and raise the roof. (“Are you marionettes?” he once asked a manager who protested that markets sometimes dictate unethical actions.)
In his book, which was published last fall, he offers a vision of a world governed by cooperation among nations, with a vibrant welfare state as the core of a market economy that reflects the love-thy-neighbor imperatives of Catholic social thought.
On the first point, Archbishop Marx is in good, cosmopolitan company; many officials, from New York to London to Beijing, are calling these days for a world in greater regulatory harmony, though the specifics may be hard to agree upon. He sounds considerably more German when exhorting the world to create, or recast, the welfare state. People need the welfare state before they “can give themselves over to the very strenuous and sometimes very risky games of the marketeconomy,” Archbishop Marx said. The burdens of aging, illness or unemployment “need to be borne collectively,” he added.
In support of his argument, the archbishop calls for a “global social market economy,” based on a concept familiar to Germans as the model for their own postwar system.
Of course, the archbishop says he realizes that a European’s ideal of welfare states and border-straddling institutions might not have universal appeal. At the end of his book, he quotes Jean-Claude Juncker, the prime minister of Luxembourg, who has said, “I approve of the notion that Europe sees itself, unpretentiously, as a model for the world, but the consequence of that is that we would have to constantly change that model because we are not the world.”
Neither, he might have added, is the Roman Catholic church.
martedì 14 luglio 2009
Qualcuno sa cogliere le opportunità nella "crisi"
Utili record per Goldman Sachs: 3,44 miliardi di dollari
da ilsole24ore.com
Goldman Sachs ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 3,44 miliardi di dollari, pari a 4,93 dollari per azione contro i 3,65 previsti dagli analisti. Si tratta dell'utile trimestrale più alto nella storia della banca d'affari newyorchese. I ricavi della banca d'affari statunitense si sono attestati a 13,76 miliardi di dollari.
da ilsole24ore.com
Goldman Sachs ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 3,44 miliardi di dollari, pari a 4,93 dollari per azione contro i 3,65 previsti dagli analisti. Si tratta dell'utile trimestrale più alto nella storia della banca d'affari newyorchese. I ricavi della banca d'affari statunitense si sono attestati a 13,76 miliardi di dollari.
sabato 11 luglio 2009
venerdì 10 luglio 2009
Aggiornamento: I Bond sequestrati a Chiasso: probabilmente veri, ma non importa..
da Crisis.blogspot
I Bond sequestrati a Chiasso: probabilmente veri ma non importa. Ecco perchè.
Breve riassunto:i bond sono probabilmente veri.
Se anche fossero falsi segnalerebbero la stessa cosa, ovvero che il dollaro è agli sgoccioli e i topoloni stanno filandosela a gambe levate.
Siccome il risparmio usa non esiste piu' e quello internazionale scappa a gambe levate il dollaro non ha chances e Weimar si avvicina a grandi passi.
Non so se avete notato, ma questa storia, affascinante ed oscura, è stata completamente trascurata dai media mondiali e, negli ultimi giorni, ANCHE da coloro che più si erano dati da fare, nel mese passato dal sequestro, per cercare di far luce sulla vicenda.
Coloro che avevano per primi approfondito la notizia, ovvero, a parte (im)modestamente questo blog, il sito Asia News , gestito da Padre Cervellera e il direttore, alquanto bislacco, di una radio On line statunitense, Hal Turner tacciono.
Quest'ultimo per il valido motivo di essere stato arrestato, poche ore dopo aver fornito dati ed immagini dei famosi bond che potevano essere a disposizione solo dei servizi segreti americani, ovviamente con accuse che non hanno niente a che vedere con i bond.
Il tipo, in effetti, pare che sia un "suprematista bianco" ovvero un esponente di una corrente di pensiero alquanto affine a quella dei simpatici signori del Ku Klux Klan.
Certo è che lo è DA SEMPRE, certo è che deve aver avuto OTTIMI agganci dentro l'amministrazione USA per avere accesso a quei documenti e certo è che il suo arresto NON è sospetto: è assolutamente evidente, basta vedere le accuse, che è del tutto pretestuoso e che le cause, come del resto ha detto lo stesso Turner , sono proprio da ricercarsi nel suo servizio sui bonds.
Anche Padre Cervellera, che per primo aveva fornito i nomi dei due giapponesi ed i loro legami con la banca centrale del loro paese, tace, all'improvviso, da qualche giorno, dopo aver ribadito, motivatamente, che, secondo lui, i bond sono autentici.
Certo: forse mancano novità, notizie interessanti, nuovi risvolti.
Ed invece no: non è così. Il Giornale, unico Media di rilievo che sia stato finora su questa notizia riferisce che i due "spalloni" nipponici avevano un referente italiano e che questo rerente italiano ha una faccia, un nome ed una attività: si tratta del Sig. Alessandro Santi, "milanese, 72 anni, una vita spesa nelle spedizioni internazionali e negli affari di dogana, già presidente del Consorzio internazionale trasporti di Roma, socio e poi proprietario unico della Interprogetti di Milano".
Il suo nome è emerso dai documenti che i due avevano con se al momento dell'arresto.
Non è dato sapere altro ma parrebbe evidente che i due avessero in qualche modo cercato di pianificare il passaggio della loro famosa valigetta usufruendo dei consigli, dei buoni uffici e della competenza del Signor Santi, per arrivare incolumi a destinazione, quale che fosse.
Ancora una volta, questo è un comportamento anomalo per due truffatori di bassa lega: non ci si riferisce ad uno spedizioniere di alto rango per dei bond farlocchi, ma ci si limita a passare il confine attraverso un pascolo poco sorvegliato.
Parrebbe ragionevole che i due abbiano chiesto consiglio ed assistenza e che il Sig. Santi possa avergli spiegato le complicate pieghe della legislazione italica ed il rischio di una ingente multa/tassa che pendeva sopra il loro capo.
I due, evidentemente messi alle strette da qualche circostanza che non conosciamo, hanno tentato il tutto per tutto e gli è andata buca.
Sinceramente non darei neanche molto per scontato che siano vivi.
Pare infatti evidente che la stangata, veri o falsi i titoli che fossero, è fallita e che questo genere di fallimenti si paga, sia che si fosse corrieri "ufficiosi" di qualche governo sia che si fosse semplicemente degli spalloni di qualche strana associazione malavitosa internazionale.
A proposito di associazioni internazionali: alcuni giornali USA, senza alcun senso logico, avevano dato per scontato che sotto questa storia ci fosse la mafia.
Quella nostrana.
Pare per lo meno curioso che non abbiano pensato, piuttosto, alla molto più potente mafia giapponese, che oltretutto gode di notevoli e neanche tanto coperti appoggi fino alle più alte cariche del paese del Sol Levante.
In ogni caso, dicevo, bisogna qui ribadire che i BOND sono, con ragionevole certezza, autentici.
Perchè lo affermo?
Beh, intanto a più di un mese di distanza, ancora non c'è una dichiarazione ufficiale della Nostra Guardia di Finanza che dica chiaramente che si tratta di falsi.
Certo: questo implicherebbe ammettere che si è rilasciato i due giapponesi per ordine superiore diretto e quindi ammettere che c'e' una grossa storia internazionale dietro la vicenda. Tuttavia credo che la spiegazione più semplice sia che la documentazione bancaria autentica (nessuno ne contesta infatti l'autenticità, almeno per ora) allegata ai bonds e le stesse caratteristiche dei "treasure notes" portino a ritenere che siano originali.
Nel frattempo il governo americano non ha ancora rilasciato una nota ufficiale, motivata, sulla falsità dei titoli, ma solo un paio di estemporanee dichiarazioni di suoi funzionari che si sono affrettati a dichiarare tali titoli falsi.
Proprio queste affrettate dichiarazioni potrebbero invece costituire un prova della chiara malafede dei funzionari in questione e della volonta di insabbiare tutto.
I funzionari hanno infatti sostanzialmente affermato che il totale dei bond cartacei in circolazione non è superiore a 100 milioni di dollari, che non ne sono stati mai emessi per tagli cosi grandi e che i Kennedy Bonds non sono mai esistiti.
Infine hanno detto, sulla base di immagini prese da internet, che sono chiaramente falsi.
Il punto interessante è proprio il primo.
Benchè tutti si siano affrettati a parlare di buoni del tesoro USA, o di treasury bonds, in realtà si tratta di titoli DIVERSI.
Sono infatti, a quanto parrebbe, dei Treasury notes, ovvero, a tutti gli effetti, qualcosa di molto simile alle banconote, sia pure di taglio ciclopico. NON sarebbero di libera circolazione essendo stati, in pratica, utilizzati solo per scambi tra stati.
I famosi Kennedy NOTES, da un miliardo di dollari l'uno, potrebbero essere esistiti davvero, a quanto riportano Asia News e il sito di Turner e questo da solo dimostrerebbe la probabile cattiva fede dei funzionari USA che ne negavano l'esistenza.
In particolare Stephen Meyerhardt, un portavoce del dipartimento del tesoro americano aveva affermato, in una intervista al Times: “The whole thing is a total fraud,they don’t look anything like real securities, which in any case were never issued in any of those denominations.”
"L'intera faccenda è una frode, non somigliano in niente ai buoni del tesoro originali, che in ogni caso non sono mai stati emessi in tali tagli"
In realtà, questa è probabilmente falso: titoli di queste dimensioni parrebbe che vengano emessi DI CONTINUO dalla FED, pur non essendo liberamente disponibili sul mercato, tanto che a quanto pare circolano frodi finanziarie proprio basate sulla loro esistenza.
E' un segreto di pulcinella: guardate questa immagine, ad esempio, o questa, da cui è tratta l'immagine di questo post. Sono immagini di qualche mese fa, di tempi quindi non sospetti, non correlate direttamente a questa vicenda.
Ambedue rappresentano una ricevuta per il deposito di un numero di bonds ridotto, 2 o 4 (si vedano i nr di serie) per la somma di uno o due miliardi di dollari.
Basta dividere il totale per il numero di titoli che risulta dai nr di serie ed ecco che si può verificare che potrebbero davvero esistere titoli da 500 milioni di euro.
Evidentemente, se qualcuno si è preso la briga di falsificarli, devono esistere: chi mai si prenderebbe la briga di fare banconote da 1000 euro false?
Ma se questo genere di bonds esiste perchè negarne l'esistenza?
Semplicemente perchè cosi si evitano gli accurati controlli che porterebbero, molto rapidamente, a determinare chi potrebbero esserne stati i detentori ( non è che ne siano stati emessi a migliaia evidentemente) l'incrocio sui numeri di serie, etc etc.
In breve: ammettere l'esistenza di bonds di queste dimensioni potrebbe portare ad una rapida verifca che accerterebbe chi dovrebbe esserne in possesso e quindi se quelli sequestrati sono autentici o falsi.
Ma quale motivo ci sarebbe di tutta questa manfrina, SE fossero falsi?
QUINDI i bonds sono veri, essendo stata architettata questa manfrina.
Tra parentesi questi titoli segnalano anche un possibile utilizzo di questo tipo di strumenti finanziari.
In pratica un soggetto non ben definito deposita (virtualmente) denaro dalle origini le più varie (connettere i puntini...) presso la FED e questa emette un titolo al portatore di dimensioni equivalenti, chiaramente molto più agevole da trasportare, senza lasciare traccia del passaggio, in un paradiso fiscale, ad esempio in Svizzera.
Se ho ben capito: anziche trasportare quintali di banconote o lasciare complicate tracce telematiche, mollo tutto il contante presso la FED, questa mi dice grazie e mi da un bel ricevutone , esigibile in ogni momento DAL PORTATORE, con scritto su un miliardo, ESATTAMENTE come quello del signor Bonaventura.
Con questo bel fogliolone, sia pure tra mille sudori freddi, posso andare in un istituto svizzero (ad esempio) e, dopo le verifiche del caso, vedermi accreditato un bel miliardino di dollari. Nessuna traccia, nessun brutto legame con brutti ceffi in cerca di lavanderie monetarie compiacenti.
Come avevamo già scritto, manco a dirlo, i paradisi fiscali non solo sono comodi ma sono essenziali al funzionamento della macchina finanziaria mondiale.
Ecco perchè i proclami del G8 sono semplicemente risibili.
Ecco perchè i bond sono probabilmente veri ed anche se fossero falsi indicherebbero la stessa cosa, darebbero lo stesso segnale.
Il segnale che la ricreazione è finita, che i nodi vengono al pettine e che i topoloni più furbi scappano sulle scialuppe fiscali di tutto il mondo.
Qualcuno dei commentatori USA della vicenda ha indicato che questa storia potrebbe essere il colpo di grazia per il dollaro, se risultasse che i titoli sono autentici e che i due tipi agivano su incarico della propria banca centrale.
Certo, è evidente.
Ma anche se fossero falsi dimostrerebbero che questo genere di operazioni è plausibile, atteso e probabilmente già in atto.
E' infatti possibile, torno a ripetere, falsificare una banconota da 100 euro, ma chi sarebbe cosi tonto da farne una da 150?
Il dollaro è qundi finito?
Si. Altamente plausibile e, di conseguenza, per un naturale effetto di feed-back positivo , altamente probabile.
Con lui, mi pare evidente, se ne andranno anche le prospettive di una rapida ripresa dell'economia USA e quindi del resto dle mondo.
Questa recessione durerà.
Durerà fino a che non ci decideremo a cambiare sistema.
Il punto è: cosa ci racconteranno, i nostri pavidi governanti per convincerci a farlo? Ci vorrà, come in altre occasioni una situazione eccezionale, una minaccia alla sicurezza mondiale da additare come la vera causa delle dolorose misure necessarie?
Beh, se la storia è maestra e non accade l'impensabile (che pure capita, alle volte) le cose andranno proprio così.
Pietro Cambi
I Bond sequestrati a Chiasso: probabilmente veri ma non importa. Ecco perchè.
Breve riassunto:i bond sono probabilmente veri.
Se anche fossero falsi segnalerebbero la stessa cosa, ovvero che il dollaro è agli sgoccioli e i topoloni stanno filandosela a gambe levate.
Siccome il risparmio usa non esiste piu' e quello internazionale scappa a gambe levate il dollaro non ha chances e Weimar si avvicina a grandi passi.
Non so se avete notato, ma questa storia, affascinante ed oscura, è stata completamente trascurata dai media mondiali e, negli ultimi giorni, ANCHE da coloro che più si erano dati da fare, nel mese passato dal sequestro, per cercare di far luce sulla vicenda.
Coloro che avevano per primi approfondito la notizia, ovvero, a parte (im)modestamente questo blog, il sito Asia News , gestito da Padre Cervellera e il direttore, alquanto bislacco, di una radio On line statunitense, Hal Turner tacciono.
Quest'ultimo per il valido motivo di essere stato arrestato, poche ore dopo aver fornito dati ed immagini dei famosi bond che potevano essere a disposizione solo dei servizi segreti americani, ovviamente con accuse che non hanno niente a che vedere con i bond.
Il tipo, in effetti, pare che sia un "suprematista bianco" ovvero un esponente di una corrente di pensiero alquanto affine a quella dei simpatici signori del Ku Klux Klan.
Certo è che lo è DA SEMPRE, certo è che deve aver avuto OTTIMI agganci dentro l'amministrazione USA per avere accesso a quei documenti e certo è che il suo arresto NON è sospetto: è assolutamente evidente, basta vedere le accuse, che è del tutto pretestuoso e che le cause, come del resto ha detto lo stesso Turner , sono proprio da ricercarsi nel suo servizio sui bonds.
Anche Padre Cervellera, che per primo aveva fornito i nomi dei due giapponesi ed i loro legami con la banca centrale del loro paese, tace, all'improvviso, da qualche giorno, dopo aver ribadito, motivatamente, che, secondo lui, i bond sono autentici.
Certo: forse mancano novità, notizie interessanti, nuovi risvolti.
Ed invece no: non è così. Il Giornale, unico Media di rilievo che sia stato finora su questa notizia riferisce che i due "spalloni" nipponici avevano un referente italiano e che questo rerente italiano ha una faccia, un nome ed una attività: si tratta del Sig. Alessandro Santi, "milanese, 72 anni, una vita spesa nelle spedizioni internazionali e negli affari di dogana, già presidente del Consorzio internazionale trasporti di Roma, socio e poi proprietario unico della Interprogetti di Milano".
Il suo nome è emerso dai documenti che i due avevano con se al momento dell'arresto.
Non è dato sapere altro ma parrebbe evidente che i due avessero in qualche modo cercato di pianificare il passaggio della loro famosa valigetta usufruendo dei consigli, dei buoni uffici e della competenza del Signor Santi, per arrivare incolumi a destinazione, quale che fosse.
Ancora una volta, questo è un comportamento anomalo per due truffatori di bassa lega: non ci si riferisce ad uno spedizioniere di alto rango per dei bond farlocchi, ma ci si limita a passare il confine attraverso un pascolo poco sorvegliato.
Parrebbe ragionevole che i due abbiano chiesto consiglio ed assistenza e che il Sig. Santi possa avergli spiegato le complicate pieghe della legislazione italica ed il rischio di una ingente multa/tassa che pendeva sopra il loro capo.
I due, evidentemente messi alle strette da qualche circostanza che non conosciamo, hanno tentato il tutto per tutto e gli è andata buca.
Sinceramente non darei neanche molto per scontato che siano vivi.
Pare infatti evidente che la stangata, veri o falsi i titoli che fossero, è fallita e che questo genere di fallimenti si paga, sia che si fosse corrieri "ufficiosi" di qualche governo sia che si fosse semplicemente degli spalloni di qualche strana associazione malavitosa internazionale.
A proposito di associazioni internazionali: alcuni giornali USA, senza alcun senso logico, avevano dato per scontato che sotto questa storia ci fosse la mafia.
Quella nostrana.
Pare per lo meno curioso che non abbiano pensato, piuttosto, alla molto più potente mafia giapponese, che oltretutto gode di notevoli e neanche tanto coperti appoggi fino alle più alte cariche del paese del Sol Levante.
In ogni caso, dicevo, bisogna qui ribadire che i BOND sono, con ragionevole certezza, autentici.
Perchè lo affermo?
Beh, intanto a più di un mese di distanza, ancora non c'è una dichiarazione ufficiale della Nostra Guardia di Finanza che dica chiaramente che si tratta di falsi.
Certo: questo implicherebbe ammettere che si è rilasciato i due giapponesi per ordine superiore diretto e quindi ammettere che c'e' una grossa storia internazionale dietro la vicenda. Tuttavia credo che la spiegazione più semplice sia che la documentazione bancaria autentica (nessuno ne contesta infatti l'autenticità, almeno per ora) allegata ai bonds e le stesse caratteristiche dei "treasure notes" portino a ritenere che siano originali.
Nel frattempo il governo americano non ha ancora rilasciato una nota ufficiale, motivata, sulla falsità dei titoli, ma solo un paio di estemporanee dichiarazioni di suoi funzionari che si sono affrettati a dichiarare tali titoli falsi.
Proprio queste affrettate dichiarazioni potrebbero invece costituire un prova della chiara malafede dei funzionari in questione e della volonta di insabbiare tutto.
I funzionari hanno infatti sostanzialmente affermato che il totale dei bond cartacei in circolazione non è superiore a 100 milioni di dollari, che non ne sono stati mai emessi per tagli cosi grandi e che i Kennedy Bonds non sono mai esistiti.
Infine hanno detto, sulla base di immagini prese da internet, che sono chiaramente falsi.
Il punto interessante è proprio il primo.
Benchè tutti si siano affrettati a parlare di buoni del tesoro USA, o di treasury bonds, in realtà si tratta di titoli DIVERSI.
Sono infatti, a quanto parrebbe, dei Treasury notes, ovvero, a tutti gli effetti, qualcosa di molto simile alle banconote, sia pure di taglio ciclopico. NON sarebbero di libera circolazione essendo stati, in pratica, utilizzati solo per scambi tra stati.
I famosi Kennedy NOTES, da un miliardo di dollari l'uno, potrebbero essere esistiti davvero, a quanto riportano Asia News e il sito di Turner e questo da solo dimostrerebbe la probabile cattiva fede dei funzionari USA che ne negavano l'esistenza.
In particolare Stephen Meyerhardt, un portavoce del dipartimento del tesoro americano aveva affermato, in una intervista al Times: “The whole thing is a total fraud,they don’t look anything like real securities, which in any case were never issued in any of those denominations.”
"L'intera faccenda è una frode, non somigliano in niente ai buoni del tesoro originali, che in ogni caso non sono mai stati emessi in tali tagli"
In realtà, questa è probabilmente falso: titoli di queste dimensioni parrebbe che vengano emessi DI CONTINUO dalla FED, pur non essendo liberamente disponibili sul mercato, tanto che a quanto pare circolano frodi finanziarie proprio basate sulla loro esistenza.
E' un segreto di pulcinella: guardate questa immagine, ad esempio, o questa, da cui è tratta l'immagine di questo post. Sono immagini di qualche mese fa, di tempi quindi non sospetti, non correlate direttamente a questa vicenda.
Ambedue rappresentano una ricevuta per il deposito di un numero di bonds ridotto, 2 o 4 (si vedano i nr di serie) per la somma di uno o due miliardi di dollari.
Basta dividere il totale per il numero di titoli che risulta dai nr di serie ed ecco che si può verificare che potrebbero davvero esistere titoli da 500 milioni di euro.
Evidentemente, se qualcuno si è preso la briga di falsificarli, devono esistere: chi mai si prenderebbe la briga di fare banconote da 1000 euro false?
Ma se questo genere di bonds esiste perchè negarne l'esistenza?
Semplicemente perchè cosi si evitano gli accurati controlli che porterebbero, molto rapidamente, a determinare chi potrebbero esserne stati i detentori ( non è che ne siano stati emessi a migliaia evidentemente) l'incrocio sui numeri di serie, etc etc.
In breve: ammettere l'esistenza di bonds di queste dimensioni potrebbe portare ad una rapida verifca che accerterebbe chi dovrebbe esserne in possesso e quindi se quelli sequestrati sono autentici o falsi.
Ma quale motivo ci sarebbe di tutta questa manfrina, SE fossero falsi?
QUINDI i bonds sono veri, essendo stata architettata questa manfrina.
Tra parentesi questi titoli segnalano anche un possibile utilizzo di questo tipo di strumenti finanziari.
In pratica un soggetto non ben definito deposita (virtualmente) denaro dalle origini le più varie (connettere i puntini...) presso la FED e questa emette un titolo al portatore di dimensioni equivalenti, chiaramente molto più agevole da trasportare, senza lasciare traccia del passaggio, in un paradiso fiscale, ad esempio in Svizzera.
Se ho ben capito: anziche trasportare quintali di banconote o lasciare complicate tracce telematiche, mollo tutto il contante presso la FED, questa mi dice grazie e mi da un bel ricevutone , esigibile in ogni momento DAL PORTATORE, con scritto su un miliardo, ESATTAMENTE come quello del signor Bonaventura.
Con questo bel fogliolone, sia pure tra mille sudori freddi, posso andare in un istituto svizzero (ad esempio) e, dopo le verifiche del caso, vedermi accreditato un bel miliardino di dollari. Nessuna traccia, nessun brutto legame con brutti ceffi in cerca di lavanderie monetarie compiacenti.
Come avevamo già scritto, manco a dirlo, i paradisi fiscali non solo sono comodi ma sono essenziali al funzionamento della macchina finanziaria mondiale.
Ecco perchè i proclami del G8 sono semplicemente risibili.
Ecco perchè i bond sono probabilmente veri ed anche se fossero falsi indicherebbero la stessa cosa, darebbero lo stesso segnale.
Il segnale che la ricreazione è finita, che i nodi vengono al pettine e che i topoloni più furbi scappano sulle scialuppe fiscali di tutto il mondo.
Qualcuno dei commentatori USA della vicenda ha indicato che questa storia potrebbe essere il colpo di grazia per il dollaro, se risultasse che i titoli sono autentici e che i due tipi agivano su incarico della propria banca centrale.
Certo, è evidente.
Ma anche se fossero falsi dimostrerebbero che questo genere di operazioni è plausibile, atteso e probabilmente già in atto.
E' infatti possibile, torno a ripetere, falsificare una banconota da 100 euro, ma chi sarebbe cosi tonto da farne una da 150?
Il dollaro è qundi finito?
Si. Altamente plausibile e, di conseguenza, per un naturale effetto di feed-back positivo , altamente probabile.
Con lui, mi pare evidente, se ne andranno anche le prospettive di una rapida ripresa dell'economia USA e quindi del resto dle mondo.
Questa recessione durerà.
Durerà fino a che non ci decideremo a cambiare sistema.
Il punto è: cosa ci racconteranno, i nostri pavidi governanti per convincerci a farlo? Ci vorrà, come in altre occasioni una situazione eccezionale, una minaccia alla sicurezza mondiale da additare come la vera causa delle dolorose misure necessarie?
Beh, se la storia è maestra e non accade l'impensabile (che pure capita, alle volte) le cose andranno proprio così.
Pietro Cambi
giovedì 9 luglio 2009
Dichiarazione finale del G8 (anticipazione)
Perchè salvare il pianeta.. blah blah etc etc.
La crisi economica...blah rilancio blah blah fiducia etc blah pompose dichiarazioni blah
(da Informazione Scorretta)
La crisi economica...blah rilancio blah blah fiducia etc blah pompose dichiarazioni blah
(da Informazione Scorretta)
martedì 7 luglio 2009
Tutti ricorrono al protezionismo, sottobanco
dal Financial Times
WTO warns on barriers to trade
By Joshua Chaffin in Brussels
Published: July 2 2009 00:14 | Last updated: July 2 2009 00:14
Governments around the world have continued to push up trade barriers in spite of high-profile pledges at the G20 summit and other forums to resist protectionism, according to a World Trade Organisation report to be published on Thursday.
Over the past three months, the WTO recorded 83 trade-restricting measures undertaken by 24 countries and the European Union – more than double the number of trade-liberalising measures enacted during the same period. However, the report noted that the worst abuses had largely been contained.
The figures do not include restrictions on pork imports implemented by 39 countries in the wake of the swine flu outbreak.
The WTO warned that a surge of new anti-dumping investigations could materialise as the economic crisis dragged on. It also lowered its forecast for world trade; it is now predicting that the volume for goods and services will contract 10 per cent this year as opposed to the 9 per cent previously expected.
“In the past three months there has been further slippage towards more trade restricting and distorting policies,” the report concludes.
It offers the clearest barometer of the rise in protectionist pressures as governments try to shield domestic industries from the effects of the economic and financial crisis. It also confirms the myriad ways countries can raise trade barriers without violating WTO rules, such as launching anti-dumping investigations, granting export subsidies and raising tariffs within legal limits.
Comparative chart showing world trade volumes
The report is likely to be seized on by proponents of the Doha round of trade talks to restart negotiations on a broad treaty that would do away with many of these exceptions.
World leaders pledged to resist protectionism and support free trade in order to speed the economic recovery and avoid the mistakes of the 1930s as the centrepiece of the London G20 summit in April.
Yet trade tensions have repeatedly been on display since then, including a decision by the US and EU last week jointly to take WTO action against China for allegedly hoarding natural resources.
Many trade lawyers say they are braced for a surge in anti-dumping complaints in the coming months as crisis-stricken companies take action against foreign competitors they might have tolerated in better times. Anti-dumping investigations increased 28 per cent last year compared with 2007.
The WTO found that the goods most affected thus far have been agricultural products – particularly dairy – iron and steel, autos, chemicals and plastics, and textiles and clothing.
The report noted a slew of sector-specific programmes introduced by governments to support automakers, pulp and paper producers and others. A total of 19 governments reported moves to support financial institutions.
WTO warns on barriers to trade
By Joshua Chaffin in Brussels
Published: July 2 2009 00:14 | Last updated: July 2 2009 00:14
Governments around the world have continued to push up trade barriers in spite of high-profile pledges at the G20 summit and other forums to resist protectionism, according to a World Trade Organisation report to be published on Thursday.
Over the past three months, the WTO recorded 83 trade-restricting measures undertaken by 24 countries and the European Union – more than double the number of trade-liberalising measures enacted during the same period. However, the report noted that the worst abuses had largely been contained.
The figures do not include restrictions on pork imports implemented by 39 countries in the wake of the swine flu outbreak.
The WTO warned that a surge of new anti-dumping investigations could materialise as the economic crisis dragged on. It also lowered its forecast for world trade; it is now predicting that the volume for goods and services will contract 10 per cent this year as opposed to the 9 per cent previously expected.
“In the past three months there has been further slippage towards more trade restricting and distorting policies,” the report concludes.
It offers the clearest barometer of the rise in protectionist pressures as governments try to shield domestic industries from the effects of the economic and financial crisis. It also confirms the myriad ways countries can raise trade barriers without violating WTO rules, such as launching anti-dumping investigations, granting export subsidies and raising tariffs within legal limits.
Comparative chart showing world trade volumes
The report is likely to be seized on by proponents of the Doha round of trade talks to restart negotiations on a broad treaty that would do away with many of these exceptions.
World leaders pledged to resist protectionism and support free trade in order to speed the economic recovery and avoid the mistakes of the 1930s as the centrepiece of the London G20 summit in April.
Yet trade tensions have repeatedly been on display since then, including a decision by the US and EU last week jointly to take WTO action against China for allegedly hoarding natural resources.
Many trade lawyers say they are braced for a surge in anti-dumping complaints in the coming months as crisis-stricken companies take action against foreign competitors they might have tolerated in better times. Anti-dumping investigations increased 28 per cent last year compared with 2007.
The WTO found that the goods most affected thus far have been agricultural products – particularly dairy – iron and steel, autos, chemicals and plastics, and textiles and clothing.
The report noted a slew of sector-specific programmes introduced by governments to support automakers, pulp and paper producers and others. A total of 19 governments reported moves to support financial institutions.
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