venerdì 14 maggio 2010

L'oro della Patria, quelle riserve contese (TPD nel 7 agosto 2007)

ilsole24ore del 7 agosto 2007
di Rossella Bocciarelli


Il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ha chiarito il suo pensiero in un'intervista alla Stampa: le riserve, auree e non, sono un patrimonio nazionale; l'uso delle eccedenze a calo del debito è già stato deciso in altri Paesi; dunque, entro i limiti del rispetto dell'autonomia della Banca centrale, «Governo e Parlamento hanno pieno titolo a occuparsi di queste tematiche».
In pratica, dopo la risoluzione di maggioranza alla Camera sul Dpef, Padoa-Schioppa ha mandato un messaggio al Governatore della Banca d'Italia: questo tema, pur con le dovute attenzioni istituzionali, non dev'essere un tabù; anche perché, alla fin fine, l'oro è degli italiani. E se vogliono devolverlo alla Patria, debbono poterlo fare. O, almeno, debbono poterne parlare.
Sarà un caso, però, ma è bastato evocarla, quell'immagine dell'oro a sostegno delle pubbliche finanze, che fa venire in mente le fedi nuziali pretese dall'autarchia di fronte alle sanzioni, per far sobbalzare il differenziale Bund-Btp. Già, perchè a un Paese come il nostro, che con il suo 106,5 di debito pubblico in rapporto al Pil (in crescita per il secondo anno consecutivo) gode ancora del poco invidiabile primato di Stato più indebitato del mondo, le sanzioni le applica il mercato.
E così, dalla fine di luglio, il divario fra i titoli di Stato decennali italiani e gli omologhi tedeschi è tornato ad allargarsi verso i 30-35 punti base, nonostante la comune appartenenza dell'Italia e della Germania all'Europa monetaria. Il tutto, nel bel mezzo di un'estate nella quale non è poi che scarseggino i motivi d'inquietudine per la scena finanziaria internazionale. È questo l'elemento che sta generando qualche tensione tra via XX Settembre e via Nazionale. Non gli aspetti formali dei rapporti fra il Principe e il suo Tesoriere, garantiti da un Trattato europeo di rilevanza costituzionale, che Padoa-Schioppa, con il suo lungo curriculum di ex banchiere centrale, conosce praticamente a memoria.
In base a questi aspetti formali, in Italia il diritto di proprietà sulle riserve è della Banca d'Italia, non dello Stato. E viene utilizzato come presidio della stabilità finanziaria in senso ampio (Bankitalia è chiamata anche a fare il prestatore di ultima istanza nei confronti degli intermediari creditizi). Proprio perchè la proprietà della riserve doveva far capo alla banca centrale nel 1998 via Nazionale dovette acquistare le riserve dall'Ufficio italiano cambi, per poter ottemperare ai requisiti di Maastricht. Da quella cessione, poi, l'Uic ottenne degli utili che successivamente furono retrocessi al Tesoro, secondo una strategia concordata.
E qui veniamo a un punto importante. Senza il consenso della Banca d'Italia e della Banca centrale europea, un provvedimento di legge che si limitasse a imporre a Bankitalia la cessione dell'oro violerebbe l'articolo 108 del Trattato, quello in base al quale, per l'appunto, i governi non possono dare "ordini" alle banche centrali. Non è un caso, quindi, che nel 2003 alla richiesta del Governo finlandese di utilizzo delle riserve, la Bce abbia opposto un rifiuto e che la banca centrale di Helsinki, successivamente, quelle riserve non le abbia vendute; così come dopo un progetto del Governo francese si è successivamente arrivati a un netto ridimensionamento del disegno iniziale, limitando la finalizzazione della vendita delle riserve a obiettivi molto specifici e definiti.
C'è infine un altro muro tecnico-giuridico non da poco nel quale si rischierebbe di incappare. Vendere riserve per poi retrocedere gli utili andrebbe ad aumentare a dismisura il credito d'imposta della Banca d'Italia, che è già molto elevato: via Nazionale è infatti ancora in credito con l'Erario per 7 miliardi e 800 milioni, come coda del maxi-swap da 22 miliardi in titoli di Stato del 2002 . Il rischio è che scatti in tal modo un'altra violazione del Trattato europeo: quella dell'articolo 101, che vieta i finanziamenti allo Stato.

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